martedì 18 agosto 2009

8. Canataralapamaqasa


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Sistemo per bene la webcam sul portatile, accendo skype.


Aspetto, e intanto rifletto su quanto mi appaia ridicolo questo segretissimo incontro in uno dei canali di comunicazione più controllati al mondo.

Da quando ho parlato al telefono con la donna che - ne sono sicuro - ha rimpiazzato Valentina, non ho fatto che guardarmi attorno, fare attenzione, masticare piani d'azione a ogni occhiata storta. Ho dormito molto poco e quasi mai con la luce spenta.

E sono tornato da me solo perché l'idea di rimanere a Rimini non mi sembrava più così intelligente. Nella migliore delle ipotesi credevo che, con la scomparsa di Valentina, anche la casa sarebbe scomparsa con lei.


Aspetto per un po', gli occhi fissi sullo schermo.

La musichetta della chiamata su skype riesce a strapparmi un sussulto, per quanto sia tutt'altro che inattesa. Su una finestra, in bassa definizione, compare il Maiale.

E' diverso da come me lo immaginavo. C'è un certo strascico di cliché alla parola maiale, che ti porta a pensare a persone ripugnanti, sudate e obese. Quello davanti a me è invece la dimostrazione di come si possa apparire altrettanto ripugnanti restando secchi come chiodi: non peserà più di cinquanta chili, con i capelli che cominciano a mostrare un po' di segni di calvizie e gli occhiali spessi come fondi di bottiglia. Veste con una canottiera bianca: magari è il caldo, ma ho l'impressione che sia il suo abbigliamento abituale, non so perché.
Accanto a lui, sulla scrivania, ci sono pomate, fazzoletti, qualche fumetto.


«Sei la scimmia, suppongo».
«E tu il Maiale, giusto?».
Stira i denti in un sorriso, e ho l'impressione che abbia dei metri di giudizio tutti suoi, per la pulizia dei denti.
«Sì, lui è il Maiale», prosegue.
«Lui?»
«Lui adora parlare di sé in terza persona, perché si sente un personaggio tragico. Lo faceva anche D'Annunzio ne Il Piacere».
«Immagino che sarebbe stato fiero di averti come amico. Che fine ha fatto Valentina?».
Il Maiale si stringe nelle spalle. «Per il momento, ha fatto il suo tempo. Ora lui è innamorato di Vampirella».
Si volta, a chiamare qualcuno, che entra nell'inquadratura alle sue spalle. Un paio di mani di donna, dalle unghia lunghe, laccate di rosso vivo, cominciano ad accarezzargli il torace. Il Maiale fa un sorriso beato e aggiusta la web-cam per allargare l'inquadratura. Dietro di lui una modella da copertina coi capelli lunghi, a frangetta, mi rivolge il sorriso un sorriso tra l'irridente e il sensuale. Si passa la lingua sui canini, decisamente allungati.
Lui la bacia, poi torna a rivolgersi a me.
«Bene, mia cara scimmia, veniamo a noi. E' assai ragionevole ipotizzare che tu non abbia bisogno di molte altre prove per renderti conto che questo non é uno scherzo».
«No. E infatti vorrei delle risposte».
«Eh... risposte, risposte - sospira il Maiale, mentre Vampirella ridacchia alle sue spalle - Le risposte sono per chi le vuole accettare. Il discorso non è di particolare complessità: da una parte loro, che sono grossomodo i nostri autori; dall'altra noi, che siamo stanchi di essere personaggi e vogliamo diventare autori a nostra volta».
«Ma chi sono loro? e chi siete voi? E come fanno a...».
«Cominciamo dalle cose semplici, sì? Loro. Non sappiamo esattamente cosa siano. Divinità, strumenti di controllo, burocrati. Hanno scritto il mondo e le nostre vite: hanno settato i nostri limiti e i nostri confini e hanno messo ordine. Sono narratori, come te o come lui»
«Lui chi?»
«Lui, quello con cui stai parlando», borbotta con un tono spazientito.
«Ok, ok... scusa, mi ero dimenticato. Continua».
«Sono narratori anch eloro, dicevo. Solo che, a un certo punto, il loro racconto è risultato più convincente e il mondo ha iniziato a credere che fosse l'unico possibile. Lui pensa che dipenda solo dal fatto che la trama filava bene. I semplici si fanno sempre prendere molto, da queste cose: dagli una trama efficiente e funzionale e saranno disposti a fare da comparse tutta la vita. E questo siamo diventati. Personaggi, comparse. Et cetera et cetera».
«Queste erano le cose semplici?».
«Sì», dice lui. Di nuovo, Vampirella fa un sorrisetto complice, continuando a titillare un capezzolo del Maiale.
«Cristo. Quelle difficili?».
«Siamo noi quelle difficili. Essere personaggi non ci rende ignobili schiavi di sceneggiature altrui. Cioé, a dir la verità sì, ma alcuni di loro sono bravi a raccontare una storia quanto loro: alcuni hanno capito che Dio ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, ha creato le parole magiche c'era una volta e da quel giorno, permetti il francesismo, sono tutti cazzi suoi. Siamo in grado di creare un mondo nuovo, diverso, di sabotare la loro trama, se immaginiamo abbastanza forte. Basta solo che il mondo cominci a crederci, come hanno creduto ai nostri nemici all'inizio. Valentina te lo avrà spiegato... il loro potere si applica sul consenso».
«Sì. Sì, mi ha detto qualcosa del genere... ma, ammettendo che tutto questo sia vero, che mondo vorreste creare in alternativa?».
Il Maiale fa una smorfia, come se la domanda non lo riguardasse. «Sappi che lo stai annoiando, facendo domande così banali. Il punto è questo, illustre signor scimmia: noi siamo dei criminali. Perchè dovrebbe importarci di buttare sul piatto un mondo anziché un altro? Buttiamoli tutti contemporaneamente, scateniamo il caos più assoluto e vediamo cosa succede»
«Mi piace». Lo dico senza pensarci, senza filtrare, senza nemmeno rendermene conto. Tant'è che un secondo appena dopo, mi auguro che nemmeno mi abbia sentito.
Mi ha sentito, invece.
«Lui pensa di conoscerti meglio di quanto credi, e lo immaginava. Ma un po' tutti riponiamo grande fiducia in te... è per questo che sei attualmente braccato da tutte e due le parti in causa. Hai ucciso Michael Jackson con un racconto voodoo. Sono pochi ad aver fatto qualcosa del genere... e ora noi ti cerchiamo. E loro anche».

Un tuffo al cuore, mentre le sue parole mi ricordano quanto in questa storia io sia tutt'altro che un semplice spettatore.
«E tu? - gli chiedo - Immagino che tu cambi la realtà scrivendo qualche versione brutta de La pioggia nel pineto»

Il Maiale scoppia a ridere.

«Oh, davvero delizioso questo patetico tentativo di defibrillare il tuo sense of humor! Lui lo apprezza davvero tantissimo. No, davvero! Ognuno ha il suo modo di raccontare il mondo. Prendi lui. Lui immagina intensamente le donne di cui é innamorato e dà loro vita...»
Vampirella lo guarda con l'aria rapita.
«... masturbandosi selvaggiamente», conclude il Maiale con un ghigno.




martedì 11 agosto 2009

7. Garanadabalavataqasa

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Trenta minuti fa, finisco di mentire ai miei genitori.


«Come va?».
«Bene, mamma».
«Hai una voce strana».
«E’ il caldo. Oggi fa un mucchio di caldo».

Mi racconta di quanto faccia caldo anche lì da lei, in Sardegna, di come lei e mio padre abbiano passato la giornata, di quella sua amica che mi saluta e quell’altra che oggi si è fatta sentire. La ascolto sforzando di rendere la voce più sorridente possibile.
Davanti a me, lo sgabuzzino in cui abbiamo ucciso l’Agente.


«Agente di cosa?», ho chiesto a Valentina qualche minuto dopo che è morto, qualche minuto in cui né io né lei abbiamo spiccicato parola.
Una settimana fa, per la cronaca, anche se adesso – mentre scrivo – potrebbe essere passato anche solo un pomeriggio.
«Agente della Coerenza. Agiscono per aggiustare la coerenza narrativa del mondo. Funzionano come correttori di bozze: quando trovano qualcosa che sconvolge la trama, la mettono a posto. O la cancellano», aggiunge, con un sorrisetto tetro.
«Ma quale trama?»
«La trama del mondo. Delle nostre vite. Di tutto quanto ciò che esiste».
Sono rimasto zitto per non so quanto, con quella voglia impellente di chiudere gli occhi e dormire che mi prende tutte le volte che sono molto spaventato o nervoso.
«E chi l’ha scritta questa trama? Per chi lavorano, insomma?»
Si è stretta nelle spalle, scuotendo la testa. «Boh».


Sette giorni. Mentre sono qui, a trovare il tempo di buttare giù due righe per sfogare un po’ di tensione, mi sembra di essere in questa villetta da sempre. In tutto questo periodo non sono mai tornato nemmeno una volta a casa mia. Si sono susseguiti strascichi di paranoia lunghi come dieci veli da sposa. E il senso di colpa. Il senso di colpa per qualcosa che non avevo fatto, giusto?
Perché se qualcuno improvvisamente non riesce più a respirare da solo, non è colpa mia. Non è nemmeno lontanamente giusto che io pensi il contrario.
E’ stata Valentina a far sparire il corpo. Non so cosa abbia fatto, non so nemmeno dove l’abbia portato. Gliel’ho chiesto solo una volta.
«Da qualche parte oltre l’arcobaleno», ha risposto distrattamente.
Non le ho chiesto altro.


A tutte le altre domande che le ho fatto nei giorni successivi, invece, è stata lei a non darmi mai risposta. Via via mi è venuto sempre più il dubbio che non le conoscesse, queste risposte. Che non conoscesse niente.
Anche adesso, se le chiedo qualcosa di più su quello che dobbiamo fare, se è sicuro stare qui o non convenga invece scappare da qualche parte e se esiste un posto sicuro, mi tratta come se la faccenda non la riguardasse troppo.
Quello che succede, succede. Questa è la sua risposta solita, sempre con quel tono svagato e incurante. Non freddo, gelido o che. Incurante.


Verso il secondo giorno (o il terzo? Non ricordo più) da quando abbiamo ucciso l’Agente, si è fatta sempre più silenziosa. Ha smesso di rispondere a ogni domanda, anche le più banali, restando a guardarmi come se facesse fatica a riconoscermi.
Le ho chiesto cosa le stesse succedendo. Ha scrollato la testa.

«Hai un’idea del perché, in un mucchio di storie, prima o poi succede sempre qualcosa di brutto?», mi ha domandato poi.
È toccato a me scrollare le spalle. «Forse non sarebbero abbastanza interessanti, altrimenti».
Ha annuito. Poi si è alzata dalla sedia e mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato.
Non sapevo cosa rispondere. Non lo saprei nemmeno adesso.


Due giorni fa, mi sono accorto di qualcosa di strano.
Facevo fatica a metterla a fuoco.
Ad accorgermi di lei, a includerla nel mio orizzonte percettivo. Sussultavo quando la sentivo parlare, che magari era già nella stanza da ore ed ore e non l’avevo vista.


«… scommetto», mi ha chiesto.
«Eh?».
«Fai più fatica ad accorgerti di me, scommetto».
Ho dovuto ammettere di sì. L’ho vista sorridere di quel sorriso un po’ troppo triste e consapevole.
«E’ perché il Maiale si sta stancando di me. Tra poco scomparirò fino alla prossima volta».
«Ma chi è questo Maiale? E tu cosa…».
Mi ha appoggiato l’indice davanti la bocca, per zittirmi.
Mi ha baciato di nuovo.
Aveva un’espressione stanca, rassegnata, serena e sensuale. Tutte queste cose, tutte queste cose insieme che non c’entrano un granché, tra di loro.


Oggi, finisco la telefonata con i miei che sono da solo, in casa. Valentina se n’è andata: deve essersene andata stanotte, senza tanti saluti e tanti complimenti.
Non so dove sia andata, non riesco a meravigliarmi nemmeno troppo della sua assenza. Ieri, già, la percepivo come una sorta di intermittenza. Una presenza intermittente.
Dovrei essere parecchio arrabbiato, per quello che sta succedendo: perché sono da solo, e non so che cosa fare, e non ho idea di quando qualcun altro di loro – siano questi Agenti o più semplicemente la polizia – verrà a cercarmi.
Penso all’espressione che aveva quella volta che mi ha baciato, e non riesco ad avercela con lei.


Cinque minuti fa, un’altra telefonata da un numero sconosciuto. Ho lasciato squillare a lungo.
Alla fine non ce l’ho fatta più e ho risposto.


«Il Maiale è pronto a riceverti», ha detto la voce di una donna.
Una voce diversa da quella di Valentina. Somigliante, sì, ma diversa.


martedì 4 agosto 2009

6. Damanapavara

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Ora che sono passati un po' di giorni, posso dire che è andato tutto storto.
Tutto, tutto quanto.
Adesso, mentre sono qui a scrivere, penso solo che non so quanto mi resti ancora prima che mi vengano a prendere. Che ho una paura fottuta e non avrei mai voluto entrare in tutto questo.

No, non è vero. Ho anche avuto un'occasione per fare una scelta.
Andiamo con ordine.

Eravamo rimasti a me, che guardo quella foto.
Valentina è lì a fissarmi. Si aspetta che dica qualcosa, un commento, una frase qualunque. Riguardo la foto: realistica, non c'è dubbio. Peccato che, più la guardo e meno dubbi ho: sono l'unico elemento disegnato in quell'immagine. C'è anche uno sbaffo di pennello, all'altezza del braccio che mi fa male.
Gliela restituisco. Non dico niente, ho visto male io.
Riprende la foto.
«Sei disegnato», mi dice.
«Come?», le faccio con il sorriso di uno che non ha ben capito di cosa si stia parlando.
Il suo sguardo, un po' più triste di prima, è tutta la sua risposta al mio squallido bluff.
Non faccio nemmeno finta di ripetere un altro come?

Valentina si alza dalla poltrona.
«Mi segui?»
E' diversa, adesso. In realtà, me ne rendo conto adesso, mi ha sempre dato un'impressione strana... è come se la percepissi sempre un po' più differente dall'attimo prima. Altera, amichevole, distante, seducente, amabila, gelida. E non dà mai l'impressione di cambiare veramente: ogni volta è come se fosse sempre stata così com'è.
Mi lascio guidare da lei, fino alla porticina di uno sgabuzzino, uno di quelli in cui mettere le scope e i prodotti per la casa.
Apre. Anzi, non apre: spalanca.

Dentro c'è un uomo, legato e imbavagliato. Qualche meccanismo del mio sistema di sospensione d'incredulità dev'essere saltato, perché non me ne stupisco affatto. Non mi stupisco nemmeno di riconoscere la faccia dell'uomo che è venuto a prendere Valentina in stazione.
«Fascista carogna...», mormora lei.
Lui mugola qualcosa, guardandomi con un'espressione disperata. Anche Valentina mi sta fissando.

«Ascolta - mi dice - io non credo di riuscire a gestire la situazione da sola. Non... non fa parte esattamente dei miei compiti, diciamo, e ho un tempo molto, molto, molto limitato».
Mi zittisce subito quando sto per replicare. «Fammi finire. Ti dicevo, ho poco tempo e non so quando verrò chiamata ancora dal Maiale, quindi è meglio sbrigarsi».
Si china sull'uomo e mi lancia un'ultima occhiata.
«Cosa intendi per gestire la situazione?», le chiedo.
Non mi risponde, strappa il bavaglio dalla bocca dell'uomo che guarda subito verso di me, disperato.
«ASCOLTAMI! Questa ragazza è pazza. E' mia nipote e sta davvero male. E' stato suo padre ad affidarla a me, io sono un medico. Sono uno psichiatra... pensavo che stare un po' qui a Rimini, rilassandosi, potesse fare qualcosa per i suoi disturbi...»
«Silenzio - sibila lei, voltandosi nella mia direzione - Non credere a una sola parola. E' un Agente della Coerenza. Uno di basso livello, non una Classe Babau, ma pericoloso. Mi sta inseguendo da quando ho messo piede a Bologna perché il Maiale mi ha ordinato di cercarti».
L'uomo scuote la testa. «Ecco, la senti? Certo che l'ho seguita, era scappata di casa! Non fa che delirare su questi personaggi assurdi. E' diventata incapace di distinguere la realtà! Per fortuna uno dei suoi amici ha fatto la gentilezza di chiamarmi, così che potessi tornare a prenderla».
«Sciocchezze - Valentina scuote la testa - Quando mi ha catturato in quel bar in cui mi hai vista, mi ha strattonato fino ad arrivare dietro alla stazione. Non c'era nessuno. Il posto ideale per divorarmi. Poi...».
Di nuovo, l'altro la interrompe.
«Giovanotto, per favore, ascoltami. Mi ha seguito fino in stazione, ha fatto finta di fare la brava. Abbiamo preso il treno. Ha dormito tutto il tempo e, quando siamo arrivati qui in casa, quando le ho voltato appena le spalle per un momento...».

Si ferma anche lui. Restano bloccati a guardarmi.

E io non so cosa fare. Io riesco solo a pensare che vedere un uomo legato e imbavagliato davanti a me passa in secondo piano, rispetto al resto. Rispetto al fatto che non mi sta chiedendo alcun aiuto, non mi sta pregando di fermare Valentina, chiamare la polizia o che.
Perché in realtà...
«Oh cazzo», riesco solo a dire, quando lo capisco.
Non gliene frega niente di essere aiutato. Gli importa solo che ascolti la storia.
Tutti e due. Cercano di raccontarmela con un tono sempre più concitato, sempre più convincente. Tutti e due vogliono che ci creda.
No, nemmeno.
Me ne rendo conto quando li vedo fissi a guardarmi. Fermi. In attesa.
Vogliono che la continui. Che scelga quale delle due continuare.

«E'... è assurdo».
«Cosa è assurdo? La sua versione, vero?», mi chiede l'uomo, indicando Valentina con un un cenno della testa.
Sto lì impalato. Non ci credo troppo nemmeno a quello che sto per dire.
«... A quel punto, Valentina ti ha tranciato la gola con un colpo di taglio. Quand'eravate dietro la stazione. Non è bravissima a combattere, ma ha imparato a gestire questo genere di situazioni dopo anni di addestramento. Altrimenti, perchè avrebbero mandato lei, a prendermi? Non è servito a metterti fuori gioco del tutto, perchè tu non sei davvero umano, ma è bastato a sfiancarti in modo da portarti qui ed esorcizzarti via in modo definitivo».
L'uomo ride.
Ride, esasperato, divertito. Ride per un minuto buono, facendomi sentire sempre più stupido.

Poi tossisce.

Risucchia l'aria, il respiro.
Lo guardo terrorizzato.
«Grazie al cielo - mormora Valentina dietro di me - il potere degli Agenti della Coerenza arriva dal consenso della gente, da quanto chi li circonda crede a loro e alle loro parole. Fortunatamente in queste situazioni, quando ad alimentare il loro potere è una sola persona, combatterli diventa una faccenda gestibile».

Non la sto ascoltando nemmeno.
Guardo l'uomo diventare cianotico, continuando a ingurgitare brandelli d'aria, senza nessuno che lo aiuti.

... è in quel momento che realizzo quanto le cose - da qui in poi - si faranno strane.