La penso con quella strana pretesa di doverla ritrovare ovunque, ora che ci siamo incontrati.
Nei giorni dopo, cerco di rintracciarla.
Salgo sull'autobus in cui ci siamo incontrati. Ripercorro a piedi la strada tra una fermata e l'altra. Faccio cadere il discorso su di lei: vuoi mai che qualcuno salti su, dicendo che la conosce.
Dopo due o tre giorni in cui sono impegnato a pedinare spettri, decido di rinunciare. Darla su, come si dice dalle nostre parti.
Seduto a bermi un the freddo in uno dei pomeriggi più caldi che ricordi, tutte le mie forze sono impiegate nell'unica cosa che non sono mai stato capace di fare: trovare una spiegazione razionale a quello che mi sta succedendo nelle ultime settimane. A tutti gli strani incontri, le frasi che mi hanno lasciato con un brivido addosso, la sensazione di trovarmi in uno di quei fumetti senza sfondi e coi personaggi che dicono frasi poco chiare.
L'unica decente è che stia diventando molto paranoico. Davvero molto. O che, al contrario, mi piaccia maledettamente immaginarmi di essere al centro di qualcosa di strano nell'aria. Mi piaccia così tanto da filtrare qualunque cosa, anche la più normale, sotto quest'ottica.
«Posso sedermi?».
Subito penso che sia lei.
Non è lei, ovviamente. Non l'ho mai vista prima, eppure quacosa di familiare ce l'ha.
Prima che possa risponderle, le sue mani sottili stanno facendo a pezzi il tovagliolino di carta sul mio tavolo. Le mani curate, con le unghia lunghe e lucide.
«Io sono Valentina», mi dice col tono di voler mettere in chiaro le cose. Come se fosse un concetto chiave per andare avanti nella conversazione. Non dev'essere di qui. L'accento ha più di Milano, che di Bologna.
Ha la pelle bianchissima, su cui la linea del naso si perde come se l'avessero appena abbozzata con la china. Gli occhi e le labbra sono gli unici particolari davvero marcati e profondi, insieme ai capelli: un pesante caschetto nero, un po' retrò, da attrice anni Venti.
«Io sono... »
Si mette un dito davanti alle labbra. Mi fa specie quanto le sia facile zittirmi, guardandomi solo.
«Ascolta, non abbiamo molto tempo».
Butto giù un sorso di the. Ecco, la volevo così tanto. E' tornata la paura.
«No. Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo»
«Shh, stai zitto un secondo - si sporge verso di me - Non sono molte le tavole in cui poterti spiegare come stanno le cose. Tra qualche pagina, gli Agenti della Coerenza mi riprenderanno».
«Dio buono, cosa cazzo è, questa storia?»
Lo sguardo le saetta verso l'uscita del bar. Mi attacca abbastanza tensione da spingermi a fare altrettanto. Niente. La stazione dei treni davanti, un paio di pendolari a mangiare di fretta un panino prima di partire, il barista che sta discutendo con un ragazzino per una questione di resti.
Ma che ci aspettavamo che ci fosse?
«Me l'ha detto il Duca Stregatto. Me lo ha divinato usando i Tarocchi di Propp».
«I Tarocchi di Propp?».
Scuote la testa. «Ti ho già detto che non c'è tempo. Mi ha detto di dirti questo: chi ha le pistole le carichi, chi ha i coltelli li lucidi, chi ha le parole si metta davanti a uno specchio a provare che cosa dire per colpire - si morde le labbra, poi aggiunge il resto di fretta - Senti, vediamoci tra una settimana a questo indirizzo. Ti faccio delle foto».
«Foto?». Ormai non capisco più niente. Guardo il nome sul biglietto da visita che mi allunga quasi di nascosto, sfiorandomi le dita.
Valentina Rosselli.
«Anna, scusa se ti interrompo... se non ci sbrighiamo, ci tocca fare una corsa per il treno».
La vedo sussultare. Nemmeno io sono tranquillissimo, quando sento quella voce profonda, baritonale sopra di noi. Alzo lo sguardo.
Se fosse suo marito, direi che è troppo vecchio; se fosse il padre, direi che è troppo giovane. Chiunque sia , mi fa un sorriso da professionista dell'educazione, mentre porge una mano a Valentina per farla alzare.
«Anna?», sento la mia stessa voce gracchiare. Un vero babbeo.
L'uomo (assistente sociale?) mi rivolge un altro sorriso. «Oh, non si sarà presentata come Valentina, vero? E' ossessionata da quel fumetto. Si è pettinata anche per assomigliare alla protagonista».
Ride.
Ride anche Anna/Valentina. Il barista si volta verso di noi, facendo finta di niente, a voler vedere che accidenti abbiamo da star così allegri.
Personalmente, nulla di nulla.
Mentre se ne vanno, la vedo voltarsi verso di me. Mi sussurra di chiamarla.
Ha lo sguardo terrorizzato.
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