lunedì 27 luglio 2009

5. Maganatarasalavadaqa

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La chiamo. Dopo un'interminabile attesa risponde e, senza nemmeno salutare, dice dove e quando.
Il giorno dopo, sono un treno per Rimini. Uguale uguale ai miei racconti. Nelle mie storie, Rimini c'è quasi sempre. Non so perché, a volte trovo anche motivazioni plausibili: c'è questa ragazza che ho conosciuto su un forum degli Einsturzende Neubauten, ad esempio, che era di qui; a volte, invece, il fascino per questa città è qualcosa di più vago, che ha a che fare con l'odore di sabbia e la luce. Quella luce che sembra avere una tonalità molto più accogliente, rispetto alle parti mie.

Fatto sta che mi ritrovo a percorrere la strada che conduce alla darsena. Scende giù in quel sottopassaggio che, d'estate, diventa pieno di passanti in teli da bagno e biciclette che salgono e scendono dalle piccole rampe incastrate in mezzo ai gradini. Una specie di tunnel di passaggio.
Qui ci sono un mucchio di villette basse e simili alle vecchiette locali: non ti levano gli occhi di dosso, ma almeno tengono un contegno più amichevole di quelle delle altre città.
Suono a uno di questi cancelli, lungo la via che porta alla spiaggia.
Qualcuno apre.
Entro.

*
«Sapevo che avresti accettato», dice lei, mettendo su un disco.
Mi arrivano solo pochi smozziconi di testo, tra una pausa di silenzio e l'altra. Una voce femminile che non canta, recita. Nada, forse?

chi ha le pistole le carichi, chi ha i coltelli li lucidi, chi ha le parole si metta davanti a uno specchio a provare che cosa dire per colpire.

«Io invece non mi aspettavo di vederti. Mi sembravi molto impaurita, quando quell'uomo è venuto a prenderti».
Stringe lo sguardo. Quello sguardo pieno e pieno di parole, da attrice del muto.
«Per un attimo, è riuscito a cancellarmi. Poi, il Maiale mi ha richiamata».
«Cancellarti? E chi è il Maiale?».
Si stringe nelle spalle con noncuranza. «Lo conoscerai a tempo debito. Il punto è un altro».
La vedo prendere una vecchia Polaroid dalla borsetta. Credo di non vederne una dalla mia ultima gita scolastica al liceo... abbastanza anni fa.

«Di che cosa parlano i tuoi racconti? Quello su Michael Jackson, ad esempio»
Mi schiaccio, a disagio, contro la poltrona. Il mio sguardo va da un punto all'altro di questo salotto che sembra uscito da quegli scenari da anni Settanta post-moderni, coi tavolini bassi di plastica colorata e i lampadari allungati e minimalisti.
Peccato che io mi sento come quando parlavo ai carabinieri, tre settimane fa.
«Senti, avevo capito che mi avresti dato risposte. Voglio solo sapere cosa sta succedendo in questi giorni».
«E' importante, davvero».
«Ho fatto male a scrivere di Jackson, vero? Cioè... sei tu che mi hai mandato quei messaggi?»
E come hai trovato il mio numero? E come hai trovato me?... va bene. Un passo alla volta, mi dico.
«No. Il racconto che avevi scritto? di cosa parlava?».
Ha un tono sbrigativo, come se fosse davvero urgente scoprirlo. Le viene maledettamente fuori l'accento milanese.
«Hanuman era il protagonista. E' anche il nick con cui mi firmo un po' in tutti i forum e le piattaforme in rete. E' preso da un dio scimmia indiano, che passa dall' essere un fuorilegge a un Buddha», le spiego.
«Ok. E nel tuo racconto chi è?»
«Uno scrittore-stregone. Un terrorista convinto che, se scriverà della morte di Michael Jackson, Jacko morirà. Ho pubblicato questa storia su un blog, poco tempo fa, firmandomi Hanuman. Ho mescolato fatti miei con fatti inventati. Ho scritto che più gente avrebbe creduto a quello che raccontavo, più le possibilità che Michael Jackson morisse sarebbero aumentate».
Annuisce, senza staccarmi gli occhi di dosso. «Michael Jackson è morto».
«Sì... e questo lo so pure io - butto via il fiato, insieme alla risposta - Ma non c'entro, io. Non è che gli ho fatto davvero un voodoo»

Valentina si alza. Rimugina su quello che le ho detto, e lo fa con un'espressione da bambina corrucciata. La fronte aggrottata, un dito che si morde leggermente.
«Ti va un po' di vino?», mi chiede poi.
*
Non sembra proprio a suo agio, mentre cerca vino e bicchieri. Si aggira persa da una credenza all'altra, quasi che la casa non le appartenesse.
La vedo fare andirivieni e qualcosa me la fa già sentire distante, irraggiungibile. Ho una voglia improvvisa - davvero - di saltarle addosso, di stringerla forte come non ho mai fatto con nessuna delle ragazze di cui mi sono innamorato e che mi sono lasciato sfuggire.
E mi sembra incarnarle tutte, lei: lo sguardo ironico di una, l'aria misteriosa di un'altra, i modi di fare confidenziali e terra terra di qualcuna che potrebbe essere la tua migliore amica e l'aria sofisticata di qualcun'altra che è su questa dimensione solo di striscio.
Torna con una bottiglia di bianco e due calici. Li riempie, li facciamo tintinnare.

«Il fatto è che non dovresti sottovalutare la fantasia», dice lei, guardandomi in tralice mentre sorride.
Si sporge verso di me. «Cos'è che scrivevi? L'immaginazione è potere. Più intensamente immagini qualcosa più la farai diventare reale. Ti assicuro che era da molto tempo che non succedeva qualcosa del genere. E adesso c'è chi ti sta cercando, Hanuman».
Per un momento, la situazione ha un tale grado di assurdità che passo sopra all'essermi sentito appena citare le mie stesse parole, pari pari.
«Senti, io ho scritto solo un racconto. Michael Jackson è morto perché... beh, perché doveva morire. E non mi chiamo Hanuman, quello è il nome di un personaggio inventato».

Valentina prende la Polaroid e mi scatta una foto a tradimento, prima che possa aggiungere qualunque altra cosa.
La foto esce dalla fessura della macchinetta con un ronzio. La prende, e la scuote un paio di volte per asciugarla e farla sviluppare più velocemente. Poi non la guarda nemmeno, me la tira addosso.
«Tu sei Hanuman e, anche se cambi le carte in tavola ogni volta, credo che non smetterai tanto presto di esserlo».

Nella foto, lì per lì, non mi sembra ci sia nulla di eccezionalmente strano. A parte una mia aria un po' da tonno.
Poi guardo meglio... funziona come in quei quadri dannatamente realistici, sapete? Ci vuole un po' per accorgersene.
Lo sfondo è uno foto, sì. Il salotto, il bicchiere, la poltrona in cui sono seduto.

Sono io, l'unico particolare chiaramente disegnato.
Disegnato.

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